Quando punti l’indice contro un altro, altre tre dita della tua mano rimangono puntate contro di te!
Ve ne parlo in 500 parole.
È suggestivo il racconto di J. Borges che immagina un incontro di Caino e Abele nell’aldilà. Abele non ricorda più se fu lui il colpito a morte o piuttosto il colpevole del fratricidio.
Caino, allora, gli confessa: “Ora so che mi hai veramente perdonato, perché perdonare è dimenticare”.
In fondo Pasqua, che uno sia religioso o meno, è una sicuramente una buona occasione per “resettare” la pagina sovraccarica della memoria perché ritorni bianca per una nuova scrittura.
C’è un bell’aforisma orientale che ammonisce: “ricordati che, quando punti l’indice contro un altro, altre tre dita della tua mano rimangono puntate contro di te!”
Eppure ci sono cose che non riusciamo a dimenticare e che pensiamo sia impossibile perdonare. Si realizza in questi casi quella patologia nota come “il passato che non passa”.
Io ho un sacco di difetti (come tutti), ma non porto mai rancore. Quando una cosa è chiusa, e ci siamo capiti, è chiusa. Non ci ritorno su.
Invece vedo un sacco di gente che vive con dentro un risentimento, che li distrugge. Il risentimento è l’essere fissati su qualcosa che ci ha offeso e lo spirito di rivalsa o di vendetta ci vincola al passato.
La rivalsa è il tentativo di voler ripristinare le condizioni prima dell’offesa. Il che è impossibile.
La rivalsa danna chi la pratica perché non è in grado di risarcire, anche quando ha distrutto l’altro e questo può sembrare una compensazione.
Il rancore e il disprezzo consumano, logorano, non permettono alla memoria di svolgersi, di trascorrere, perché tutto rimane gelato in quel punto. Ecco perchè bisogna sapere dimenticare.
C’è però un modo errato di dimenticare: quello di rimuovere il passato.
È errato perché la rimozione non è la dimenticanza; è un’operazione di copertura. Il modo corretto per dimenticare è prendere distacco; distaccarsi cioè da un determinato accadimento per comprenderlo nelle sue ragioni più profonde.
Trattenerlo come un già avvenuto, ma non essere vincolati ad esso come un eterno presente. Bisogna sapersi congedare da quel passato attraverso un giudizio, per trarne lezione. Non si tratta di annullare il passato, ma di prendere distanza rispetto a ciò che ci pesa.
È questo il vero perdono.
Saper perdonare vuol dire non cancellare, ma fare vivere il passato come un qualcosa di cui siamo fatti, ma da cui ci dobbiamo congedare per poter avanzare. Fuori del perdono, infatti, c’è solo un passato che ci consuma, e che ci impedisce di fare la pace sia con noi stessi sia con l’altro.
Proprio come la Pasqua celebra la rinascita e il rinnovamento, possiamo cogliere questa occasione per liberarci dai pesi del passato e abbracciare un nuovo inizio.
Auguro a tutti voi una Pasqua luminosa e piena di speranza, dove il perdono sia la chiave per una vita più serena e appagante.